DAL CASTELLO DI POPPI

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(Pressphoto)

«De Castro Poppi» (Ep. X 6), dal Castello di Poppi la contessa Gherardesca, moglie di Guido Guidi di Battifolle, firma una breve lettera all’imperatrice Margherita di Brabante, moglie di Arrigo VII, il 18 maggio 1311.

Lo scrittore è Dante, e questa è la traccia della sua permanenza a Poppi come segretario della contessa palatina.

Forse un servizio puntuale, proprio per questa lettera latina di auguri e di benvenuto in Italia, una lettera in tre versioni differenti, che forse rappresentano tre varianti stilistiche (Ep. VIII, IX, X).

Dante, che aveva già proclamato di scrivere liriche e Commedia in volgare proprio per le donne che non conoscono il latino, compone in nome di questa dama tre piccoli lussuosi microcosmi. Le due donne non si incontrarono mai. L’imperatrice Margherita, considerata donna santa e buona dai cronisti del Trecento, morì di peste quello stesso anno.

Di Gherardesca basterà dire che era figlia del conte Ugolino. Morto nella torre della fame insieme ai figli maschi e ai nipoti maschi nel 1288. E basterà dire che al 1311 Dante aveva scritto il canto 33 dell’Inferno, cui il Romanticismo attribuì una meritata fortuna e vita autonome: con statue, quadri e immagini, proiettate senza fine dalla sublime reticenza di quelle terzine.

E dal Castello di Poppi Dante attribuisce a Gherardesca frasi che evocano gli “occhi della mente”, con i quali l’imperatrice potrebbe vedere la sua lealtà, virtù cordiale e segreta. È toccante che è con gli occhi della mente che le due potrebbero conoscersi. Come sublime esercizio di cortesia femminile e non, poniamo, di pietà cristiana.

E all’imperatrice, che l’aveva invitata a raccontare di lei stessa, “la condizione del mio stato”, Gherardesca si limita, con modestia, a manifestare la gioia di una buona salute, condivisa con marito e figli, e la gioia ancora maggiore per i “secoli migliori”, che la coppia imperiale auspicava al mondo.

Tace dunque il sinistro mistero della sua tragedia, e cita Virgilio, dalla Bucolica quarta, la profezia dell’avvento del secolo nuovo. Dante le fornisce un aristocratico e coltissimo riserbo, d’altri tempi già all’epoca sua, ben diverso dal tono che poi le presterà Franco Sacchetti nella novella 179, quando, da quelle alture di Poppi, le farà contemplare i fertili terreni circostanti, in compagnia di una sua cognata, di famiglia nemica.

Questa è la parte più suggestiva della storia di Dante al Castello di Poppi, con una contessa che è in grado di immaginare, di costruire raffinate amicizie mentali, e che danza quasi con le formule lambiccate dell’epistolografia di corte. A questo penso dal Castello di Poppi. Ed è con vero interesse che partecipo alla rinascita di questo luogo nel segno della creatività artistica e dello spettacolo.

Paola Allegretti